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La storia del Sefer hêkalôt è probabilmente fra le più travagliate e affascinanti nell'intero corpus della letteratura mistica giudaica. Il testo attualmente disponibile sembra essersi formato in almeno tre tempi successivi intorno a un antico nucleo preesistente, il cui contenuto, di tenore fortemente apocalittico, è per molti versi affine a certe sezioni dello pseudepigrafo Libro di Henoch, cui l'intero nostro testo è stato a lungo direttamente ma impropriamente accostato. Redatto forse in area babilonese intorno al V-VI secolo d.C, il Sefer hêkalôt afferisce a quel ramo della speculazione cabalistica noto come ma'aseh merkavah o "Opera del Carro", il cui obiettivo è l'esperienza diretta della presenza di Dio. Tale esperienza, come insegnano le tradizioni, è conseguibile tramite pratiche ascetiche e un viaggio estatico attraverso le realtà ultra-terrene dei Cieli, dei campi angelici e dei Sette Santuari, di cui è possibile varcare le soglie eludendo la sorveglianza dei guardiani ad esse preposte grazie a inni, parole e simboli magici. Nel Sefer hêkalôt il viaggio verso la visione della merkavah è attribuito a Rabbi Ismael ben Elisa, un autorevole tanna realmente vissuto nella Palestina del I-II secolo d. C; gli fa da guida il Metatrôn, importante e complessa figura della speculazione cabalistica, misterioso "Angelo della Presenza" dimorante presso il trono divino.